Piccolo mondo alieno

UNA SETTIMANA DI COLLISIONI PER LHCf
A LHC, il superacceleratore del CERN di Ginevra, si è da poco concluso un periodo di attività (run) speciale, dedicato all’esperimento LHCf. Nella settimana di presa dati, con collisioni protone-protone all’energia record di 13 TeV e bassissima luminosità, sono stati raccolti circa 40 milioni di eventi. L’esperimento LHCf, installato a 140 metri dal punto in cui i protoni interagiscono all’interno del rivelatore ATLAS, è dedicato allo studio delle particelle neutre che vengono prodotte a piccolissimo angolo nelle collisioni, studio che è importante per la calibrazione dei modelli di interazione tra particelle, gli adroni (come i protoni di LHC), utilizzati per la fisica dei raggi cosmici di altissima energia.
“Grazie anche alla collaborazione e all’impegno del team responsabile dell’acceleratore, la presa dati è andata benissimo, decisamente soddisfacente”, commenta Alessia Tricomi, responsabile per l’INFN di LHCf. L’analisi online degli eventi ha permesso di vedere i fotoni, i pioni neutri e i mesoni eta più energetici finora mai osservati in un acceleratore. In particolare, i pioni neutri sono stati ricostruiti nell’analisi online già con una precisione migliore del 5%, senza applicare alcuna correzione. “È un risultato davvero promettente - sottolinea Tricomi – e nei prossimi mesi gli scienziati della collaborazione LHCf si concentreranno sulla fase di analisi dei dati: in particolare, grazie alla presa dati comune con ATLAS, gli eventi raccolti durante questo speciale run permetteranno una ancor migliore comprensione dei meccanismi di interazione adronica, e questo ci aiuterà a comprendere un po’ di più i raggi cosmici che incessantemente “piovono” dallo spazio sul nostro pianeta”, conclude Tricomi.
ARIA: DALLE MINIERE DEL SULCIS UNA RISORSA PER LA CACCIA ALLA MATERIA OSCURA
COMUNICATO STAMPA CONGIUNTO INFN - REGIONE SARDEGNA. Siglato un accordo tra INFN e Regione Sardegna per la riconversione della miniera di Monte Sinni.
L'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e la Regione Autonoma della Sardegna hanno firmato un protocollo d’intesa per il prossimo sviluppo del progetto Aria, finalizzato alla realizzazione di un’innovativa infrastruttura di ricerca presso la miniera di Monte Sinni, nel bacino carbonifero del Sulcis, in Sardegna. L’accordo consentirà di aprire un tavolo di discussione tra INFN e Regione Autonoma della Sardegna per l’installazione nella miniera di un impianto tecnologico di altissimo livello, in corrispondenza dei pozzi di Seruci. L’altezza e il diametro dei pozzi, la loro configurazione, con accessi multipli e sistemi di sicurezza integrati e, soprattutto, la disponibilità di un’autostrada camionabile dalla superficie fino alla profondità di 500 metri, sono condizioni ideali per l’installazione in sicurezza di un impianto che avrà dimensioni uniche al mondo.
L’obiettivo del progetto Aria è la separazione dell’aria nei suoi componenti fondamentali, elementi che trovano utilità in diversi ambiti di ricerca e applicazione. Uno di questi componenti, l’argon-40, è un materiale pregiatissimo che permetterà lo sviluppo di una innovativa tecnica per la ricerca della materia oscura ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’INFN, progettata e realizzata dall’esperimento DarkSide, una collaborazione internazionale guidata dall’INFN, che vede la partecipazione di oltre trenta istituti provenienti da nove nazioni (Italia, Brasile, Cina, Francia, Polonia, Russia, Spagna, Svizzera, USA).
Inoltre, altri componenti dell’aria, come l’ossigeno-18 e il carbonio-13, sono elementi che, propriamente e completamente selezionati e isolati, sono anch’essi pregiatissimi in diversi ambiti di applicazione. Questi elementi hanno un mercato internazionale di grande rilievo, dal quale tuttavia il nostro Paese è attualmente escluso. Grazie alle infrastrutture uniche della miniera di Monte Sinni, il progetto Aria permetterebbe di sviluppare un ciclo produttivo in grado di abbassare notevolmente i costi energetici di produzione di questi materiali speciali, rendendoli più accessibili e fruibili. In questo modo, Aria contribuirebbe ad aumentare la disponibilità di tecnologie avanzate per lo screening medico, incluse le tecniche diagnostiche per la lotta al cancro. Utilizzando per la separazione dell’aria strutture pre-esistenti, l’innovativo processo tecnologico comporterà inoltre un impatto ambientale nullo.
Il primo passo di Aria prevede l’installazione di una torre-pilota di distillazione criogenica: un prototipo di dimensioni tali da rappresentare un unicum al mondo. Questo progetto, senza precedenti a livello internazionale, è reso possibile dalla cooperazione tra INFN, con ruolo di guida e coordinamento dei gruppi di ricerca coinvolti, e Princeton University, oltre che dal contributo cruciale di aziende italiane. La prima fase di progettazione è già partita, grazie a un finanziamento garantito dalla US National Science Foundation (US-NSF).
“Il progetto Aria è un esempio importante di come la ricerca di base può offrire l’opportunità di un potenziale sfruttamento industriale delle tecniche sviluppate per gli esperimenti alla frontiera della conoscenza”, è il commento di Fernando Ferroni, presidente dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, “L’INFN è da sempre attento alla ricaduta nel contesto produttivo delle sue iniziative di ricerca. In questo caso specifico, l’Istituto presta grande attenzione a questo progetto e al suo modello di collaborazione: ci adopereremo con energia per il suo successo”.
“È un progetto sul quale lavoriamo da mesi d’intesa con l’INFN, convinti che ricerca e collaborazione con le eccellenze internazionali, tra cui anche la Princeton University, siano una delle opportunità per rinnovare il ruolo della Sardegna e delle sue attività economiche”, commenta Francesco Pigliaru, Presidente della Regione Autonoma della Sardegna. “Lavoreremo perché alla ricerca di base, in presenza di buoni risultati, segua la “scalabilità” industriale del progetto, in considerazione delle ottime prospettive di mercato e dello sviluppo tecnologico legato all’utilizzo di tali prodotti. La Sardegna, oltre che per le precise esigenze infrastrutturali legate alla realizzazione del progetto, si è proposta come partner affidabile grazie alla scelta precisa di puntare su ricerca e innovazione, all’alto livello di qualificazione dei lavoratori che potranno essere coinvolti e alla disponibilità di eccellenze provenienti dalle Università sarde. L’iniziativa – conclude il Presidente Pigliaru – è un ottimo esempio di come anche settori critici quali quello in cui opera la Carbosulcis possono trovare nuovi indirizzi e potenzialità grazie alle competenze maturate, alle tecnologie sviluppate e all’apporto di nuova ricerca”.
“Siamo chiaramente eccitati per l’impatto positivo sulle ricerche di materia oscura in corso ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso. Ma la sfida è altrettanto eccitante dal punto di vista del possibile piano di sviluppo industriale e di trasferimento tecnologico”, è il commento di Cristian Galbiati, della Sezione INFN di Milano, professore all’Università di Princeton e coordinatore del progetto DarkSide. “Se giochiamo bene le carte a nostra disposizione, potremmo stabilire un nuovo ciclo produttivo ad altissimo contenuto tecnico, con potenziali ricadute sull’occupazione locale. Abbiamo trovato in Carbosulcis un partner eccezionale”, aggiunge Galbiati, “Le competenze tecnologiche dei suoi ingegneri e tecnici sono di elevatissimo livello: sarebbe stato impossibile arrivare alla dimostrazione di fattibilità di questo progetto senza il loro contributo determinante.”
“Il progetto Aria è di notevole importanza strategica regionale e nazionale e di elevato interesse per le possibili ricadute a livello locale che le attività condotte potrebbero comportare”, commenta Speranza Falciano, membro della Giunta Esecutiva dell’INFN che segue i progetti di trasferimento tecnologico, “Lo spin-off di questa tecnologia potrebbe permettere un impatto importante a livello sociale, delle imprese sul territorio e dei centri di ricerca della Regione Sardegna, a partire dall’Università, - prosegue Falciano – e settori che ne tratterrebbero beneficio vanno dalla medicina diagnostica, con particolare riferimento allo screening avanzato di diverse patologie, all’energia pulita, dall’eco-sostenibilità, all’agricoltura, e allo studio del cambiamento del clima.”
NOTE
L’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare - INFN
L’INFN è l’Ente Pubblico di Ricerca dedicato allo studio dei costituenti fondamentali della materia e delle leggi che li governano. Svolge attività di ricerca, teorica e sperimentale, nei campi della fisica subnucleare, nucleare e astroparticellare. Ha, tra i suoi compiti istituzionali, il trasferimento tecnologico al fine della promozione dell’economia e dell’occupazione sul territorio nazionale.
La ricerca della materia oscura ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso
I rivelatori oggi in funzione ai laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN per la ricerca diretta della materia oscura hanno come obiettivo quello di rivelare gli urti delle particelle di materia oscura sui nuclei del materiale-bersaglio. Per aumentare la sensibilità del rivelatore è necessario che il materiale utilizzato sia particolarmente puro, privo cioè di radioattività, perché l’eventuale segnale di materia oscura non sia coperto dal rumore di fondo. In questo contesto, tra gli isotopi di interesse per le ricerche dell’INFN, ricopre particolare rilievo l’argon-40, utilizzato per lo studio della materia oscura in grandi rivelatori dove l’argon è raffreddato e liquefatto, così come avviene nell’esperimento DarkSide, installato da una collaborazione internazionale presso i Laboratori del Gran Sasso dell’INFN.
CONTATTI
Francesca Scianitti, INFN - Ufficio Comunicazione
francesca.scianitti@presid.infn.it
06 6868162 - 347 4600445
Giulia Clarkson, Regione Autonoma della Sardegna - Ufficio Stampa
giuclarkson@gmail.com
328 6283125
Sotto quale Sole si sviluppa la vita?

Making the portable gamma camera
The end of the Cold War and the cancellation of the Superconducting Super Collider led to the creation of a life-saving medical device.

Each year, more than 5 million Americans take a nuclear heart stress test, which images blood flow in the heart before and after a brisk walk on a treadmill. The test allows doctors to visualize a lack of blood flow that may result from blocked or narrowed coronary arteries, which are linked to heart disease, the leading cause of death in the United States.
The test is conducted with a device called a gamma camera, which also helps diagnose dozens of other conditions, from arthritis to renal failure. Invented in the 1950s, gamma cameras used two 500-pound detectors the size of truck tires and cost hundreds of thousands of dollars. As a result, they were usually located only in regional medical centers.
But new options are available, thanks to a small company, a national laboratory and, in part, the rise and fall of both the Cold War and the Superconducting Super Collider.
A Cold War camera
The small company is Digirad, which a materials scientist started in 1985 as San Diego Semiconductors to create and develop applications for complex crystalline materials. Its name changed to Aurora Technologies in 1991 and to Digirad in 1994.
Sustained by a variety of government R&D contracts, the company’s most successful early product was a gamma-ray detector. In 1991, the Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA) gave the company a contract to do more. The agency asked for a prototype portable gamma camera—a detector array with readout and display systems that could remotely determine the number of nuclear warheads contained within the nosecone of a missile. At the camera’s heart were cadmium zinc telluride crystals, which converted gamma rays into electrical signals.
Digirad’s portable gamma camera was to have been a key tool for verifying nuclear weapons reductions. But after the end of the Cold War, the government lost interest. DARPA halted its funding to Digirad in 1993. To survive, the company needed to diversify.
A University of California, San Diego physician who had seen a news story about Digirad suggested that the company repurpose the prototype into a revolutionary medical imaging device. That’s what Digirad set out to create.
Heart-saving gamma rays
To use a gamma camera, physicians first inject into the bloodstream a small amount of a short-lived radioactive isotope, which sends out gamma rays as it decays. The patient must then lay very still inside a hospital’s tunnel-like gamma camera for five to 30 minutes as its detectors record the isotope’s emissions and create images that show doctors where the patient’s blood is flowing or blocked.
With the help of a cooperative research agreement with SLAC National Accelerator Laboratory in 1994 and 1995, Digirad modified its warhead-detecting camera into a much smaller, lightweight version of the medical gamma camera. It unveiled its new product in 1997.
The camera worked, but its price was higher than hospitals could afford.
“Unfortunately, cadmium zinc telluride was just too expensive to use in a commercial product,” says Richard Conwell, then Digirad’s vice president for research and development.
Unbeknownst to Digirad, the solution to this problem had just been created at Lawrence Berkeley National Laboratory.
A Super Collider’s sensor
In the early 1990s, Berkeley Lab electrical engineer Steve Holland was working on silicon detector technology for use in the Superconducting Super Collider, a particle collider slated to be built in central Texas that would have been twice as large and powerful as today’s Large Hadron Collider.
Holland’s challenge was to develop a mass-producible low-noise diode component for the SSC's many charged-particle detectors that would sense matter streaming from the high-energy collisions inside the collider. He did it by creating a diode with a micron-thick electrical-contact layer on the back that could trap noise-creating impurities introduced during fabrication.
In 1993, Congress canceled funding for the Superconducting Super Collider. The silicon detector effort seemed doomed to fade into obscurity.
But fellow Berkeley Lab researcher Carolyn Rossington told physicist William Moses, a member of Berkeley Lab’s Life Sciences Division, about Holland’s diode.
Moses was interested in making a compact gamma camera for diagnosing breast cancer. It turned out that Holland’s diode was just the thing needed to complete the design. The Berkeley Lab team, which included Moses, Rossington and Nadine Wang, described their device at a nuclear medicine and imaging conference in Albuquerque, New Mexico, in November 1997. Digirad scientist Bo Pi was in the audience.
Digirad negotiated with Berkeley Lab for an exclusive license to use Holland’s innovation in nuclear medicine. After developing new methods to manufacture the diode in commercial quantities, Digirad produced its first portable gamma cameras in 2000. Its business rejuvenated, Digirad went public in 2004.
Today, Digirad provides onsite gamma imaging services in remote locations and produces two additional compact portable gamma cameras that have two or three of the thin, lightweight and adjustable detectors to produce clearer heart images in doctors’ offices or clinics.
Digirad’s portable camera is even valuable to hospitals that already have a large conventional gamma camera.
“I can roll it into any room in my hospital,” says Dr. Janusz Kikut, Associate Professor and Nuclear Medicine Division Chief at the Vermont Medical Center. “In many urgent or unstable cases, it is faster, safer and less expensive to use this portable camera instead of transporting the critically ill patients down to the nuclear medicine department.”
“Holland’s diode has been huge for us,” says Virgil Lott, Digirad’s head of diagnostic imaging. “It has enabled us to take faster, higher-quality gamma imaging much closer to millions of patients.”
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