MATERIA E ANTIMATERIA NUCLEARE HANNO MASSA UGUALE
Team INFN di ALICE dimostra, con una precisione di una parte su 10000, che l’antimateria aggregata si comporta in modo analogo alla materia ordinaria. I risultati dello studio pubblicati su Nature Physics.
Il superacceleratore LHC (Large Hadron Collider) continua a regalare scorci nuovi sulla natura alla scala subnucleare. Nell’ambito dell’esperimento ALICE - A Large Ion Collider Experiment, una delle quattro macchine fotografiche grandi come cattedrali, che al CERN di Ginevra sbirciano i segreti dell’infinitamente piccolo - un team di fisici italiani dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) ha verificato l’uguaglianza di una proprietà fondamentale di materia e antimateria nucleare, la massa, a un livello di precisione mai raggiunto prima. La ricerca si è guadagnata la pubblicazione su Nature Physics, la prima per ALICE su questa prestigiosa rivista. Grazie all’abbondante produzione di nuclei leggeri nelle collisioni tra nuclei pesanti di piombo, l’esperimento ALICE è riuscito a selezionare un campione di un milione di nuclei di antideuterio e di migliaia di nuclei dell’isotopo leggero dell’antielio, e a misurare la differenza di massa con i corrispondenti nuclei di materia. Questa differenza, entro le incertezze sperimentali, è risultata pari a zero. La misura conferma la validità di una simmetria fondamentale della natura, la cosiddetta simmetria “CPT” (Carica, Parità, Tempo), in base alla quale se esiste un nucleo, allora esiste anche un antinucleo con la stessa massa, ma carica opposta.
“È un risultato che dimostra le straordinarie possibilità aperte da esperimenti come ALICE: il fatto di disporre di uno strumento cosi sofisticato per osservare la struttura della materia permette di effettuare misure molto diverse fra loro. Dobbiamo sempre essere pronti a possibili sorprese!”, sottolinea Paolo Giubellino, spokesperson di ALICE.
Le indagini volte a definire le caratteristiche dell’antimateria rappresentano da 50 anni uno dei punti di contatto tra la fisica delle particelle e lo studio dell’evoluzione dell’universo. L’antimateria è la controparte speculare della materia. Un concetto che sembra lontano dal senso comune. Eppure, è entrata ormai nelle vite quotidiane. Basti pensare alla PET (Tomografia a Emissione di Positroni), dove la lettera “P” indica proprio un pezzetto di antimateria, il positrone, cioè l’antiparticella dell’elettrone. Storicamente, il primo scienziato a prevedere l’esistenza e il comportamento delle antiparticelle fu Paul Adrien Maurice Dirac, premio Nobel per la fisica nel 1933. La scoperta delle antiparticelle - la prima fu proprio il positrone, nel 1932, grazie a Carl Anderson - però, da sola non dimostra l’esistenza di stati di antimateria aggregata, cioè formata da antiparticelle, come avviene per le particelle ordinarie che costituiscono la materia. La parola antimateria, infatti, non solo implica l’esistenza delle antiparticelle previste dalla teoria di Dirac, ma anche che queste interagiscano fra loro in modo totalmente simmetrico rispetto a quanto avviene per la materia ordinaria. Solo nel marzo del 1965, al CERN, grazie al gruppo di Antonino Zichichi arriva la prova sperimentale dell’esistenza dell’antimateria nucleare, con la scoperta dell’antideuterio e la misura della sua massa. Successivamente, vengono osservati anche altri antinuclei leggeri (antitrizio, antielio e antialfa).
“La scoperta del primo esempio di antimateria nucleare - afferma Antonino Zichichi, project leader del rivelatore TOF (Time of Flight, letteralmente tempo di volo) in ALICE - è avvenuta al CERN, nel 1965, usando un fascio di antiprotoni della maggiore intensità mai raggiunta prima, e una tecnologia da record per la misura del tempo di volo. La scoperta dell’antimateria ha costituito la prova fondamentale che se l’universo è fatto esclusivamente di materia, ciò non accade perché l’antimateria non esiste e non fa parte della logica dell’universo, ma per via di altre fondamentali leggi e fenomeni della natura ancora da scoprire. Ciò ha portato Heisenberg a dire - nel suo libro The Physicist’s Conception of Nature - che questa scoperta dell’antimateria è stata forse il più grande balzo in avanti della fisica del XX secolo".
Per ripetere con maggiore precisione questa misura, i fisici di ALICE hanno utilizzato un rivelatore la cui costruzione e messa a punto, con finanziamenti INFN, è interamente sotto responsabilità delle sezioni INFN di Bologna e Salerno e del Centro studi e ricerche Enrico Fermi di Roma. Si tratta proprio del rivelatore TOF, un grande cronometro alla frontiera della tecnologia. Il tempo di volo è la misura del tempo che impiega una particella prodotta in una collisione a raggiungere il rivelatore, a circa 4 m di distanza. Il rivelatore TOF misura con grande accuratezza questo tempo, grazie alle cosiddette Multigap Resistive Plate Chamber (MRPC), camere sviluppate dai gruppi italiani e capaci di ottenere risoluzioni temporali di 80 picosecondi (80 millesimi di miliardesimi di secondo), su una superficie di 144 m2, grande quanto un campo di pallavolo. La particella di luce, il fotone, impiega ad esempio poco più di 10 nanosecondi, 10 miliardesimi di secondo, a raggiungere il rivelatore. I nuclei di antideuterio analizzati dal team di ALICE, invece, vanno un po’ più lenti, in media il 30% più piano, e i fisici li identificano proprio perché arrivano 5 nanosecondi dopo la luce. Conoscendone l’energia (più precisamente la quantità di moto), attraverso la misura del loro ritardo si può misurare con grande precisione la loro massa.
La misura di ALICE si collega a quella effettuata 50 anni fa dal gruppo guidato da Zichichi, migliorando sensibilmente la precisione nella stima della differenza in massa di nuclei e antinuclei, fino ad arrivare a una parte su 10000 nel caso dell’antideuterio e una parte su 1000 per l’antielio. In genere, misure di questo tipo richiedono esperimenti dedicati. Al contrario, nel caso di ALICE la misura è stata effettuata nell’ambito di un programma di ricerca focalizzato su uno studio completamente diverso: la produzione e l’analisi di un plasma di quark e gluoni simile a quello prodotto nei primi istanti successivi al Big Bang. Ciò è stato possibile, non solo in virtù del grande numero di dati disponibili, ma anche grazie alle ottime capacità dell’esperimento, ai limiti della tecnologia esistente, di tracciare e identificare l’elevatissimo numero di particelle prodotte nelle collisioni. Lo studio appena pubblicato su Nature Physics, non solo conferma che esiste l’antimateria aggregata, come dimostrato 50 anni fa, ma che si comporta, con una precisione di una parte su 10000, in modo analogo a quella ordinaria.
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UNA SCUOLA PER SPECIALIZZARSI NELLA DIAGNOSI NON INVASIVA DELLE OPERE D’ARTE
È stato lanciato oggi il bando per partecipare alla seconda edizione della scuola internazionale di alta formazione di IPERION CH.it rivolta a dottorandi, conservatori, restauratori e storici dell’arte che si vogliono specializzare nelle tecniche di diagnosi avanzata non invasiva per i beni culturali. La scuola si terrà dal 15 al 20 ottobre 2015 a L’Aquila e sarà un vero e proprio training camp della diagnostica non-invasiva, condotto in situ utilizzando la migliore strumentazione dei gruppi di ricerca appartenenti a IPERION CH.it, il nodo italiano dell’infrastruttura di ricerca europea per i beni culturali E-RIHS (European Reseach Infrastructure for Heritage Science).
La scuola è organizzata da CNR, ENEA, INFN, INSTM e OPD con il supporto del Miur e il patrocinio del Comune e dell’Università dell’Aquila. I partecipanti avranno l’opportunità di lavorare su prestigiose opere messe a disposizione dalla Arcidiocesi di L’Aquila e autorizzate dalla Soprintendenza Unica Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la Città dell’Aquila e i Comuni del Cratere del MiBACT.Fra le tecniche utilizzate ampio spazio sarà dato al rilievo 3D e alle principali tecniche ottiche e a raggi X, sia puntuali che a immagine.
Sono ammessi fino a un massimo di 20 partecipanti; le modalità di partecipazione sono descritte nel sito a questo link http://www.iperionch.eu/web/iperion_it/training-camp-15-20-october-2015-l-aquila-palazzetto-dei-nobili
L’iscrizione deve essere effettuata entro il 20 settembre alle 17.00
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DAI GEONEUTRINI CATTURATI DA BOREXINO LA CONFERMA CHE VIVIAMO SU UNA STUFA
Buona parte del calore sprigionato dalle viscere della Terra deriva dal decadimento radioattivo dell’Uranio-238 e del Torio-232 presenti nel mantello, uno strato spesso 2000 km al di sotto della crosta. La conferma arriva dagli ultimi dati, pubblicati su Physical Review D, dell’esperimento Borexino ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN, un progetto internazionale a leadership italiana nato da un’idea di Gianpaolo Bellini, dell’INFN di Milano, che coinvolge un centinaio di scienziati di sei Paesi differenti. Lo studio è stato selezionato come Editors' Suggestion, tra i lavori, cioè, considerati dalla rivista “particolarmente importanti, interessanti e ben scritti”.
A fornire ai fisici di Borexino preziose informazioni su ciò che si cela sotto i nostri piedi - restringendo l’intervallo del possibile contributo degli elementi radioattivi, uranio e torio in particolare, alla produzione di calore all’interno del nostro Pianeta - sono i cosiddetti geoneutrini. Si tratta di particelle emesse dal decadimento spontaneo di nuclei radioattivi, osservate per la prima volta nel 2010 dallo stesso Borexino e dall’esperimento giapponese Kamland. I geoneutrini prodotti nelle viscere della Terra attraversano indisturbati chilometri di roccia, viscosa e solida, giungendo con il loro ricco bagaglio d’informazioni fino ai sofisticati occhi di Borexino: 300 fotomoltiplicatori che rivestono una delle sue due sfere. Il rivelatore assomiglia, infatti, a una matrioska, immersa in 2400 tonnellate di acqua ultrapura. È formato da una sfera più esterna, di acciaio, che contiene 1000 tonnellate di un idrocarburo, lo pseudocumene, al cui interno è presente una seconda sfera, di nylon, con 300 tonnellate di liquido scintillatore.
“Il risultato più importante del nostro studio - spiega Gioacchino Ranucci, spokesperson dell’esperimento - è che la rivelazione del segnale dei geoneutrini ha superato la soglia convenzionale dei 5 sigma, oltre la quale un segnale può essere considerato osservato con certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio. In particolare - aggiunge il fisico italiano -, rispetto alle precedenti misure abbiamo raccolto dati per un tempo più lungo: 2056 giorni contro i 1353 del 2013. I dati sono, quindi, statisticamente più significativi, e ci hanno permesso di raggiungere i 5.9 sigma. È la prima volta con Borexino che si supera la soglia dei 5 sigma nella misura dei neutrini di origine terrestre”. “A questo si aggiunge - sottolinea Cristiano Galbiati, altro spokesperson di Borexino - che abbiamo un’indicazione, sia pure ancora preliminare, della provenienza di parte di questo segnale dalla zona del mantello terrestre, e non solo dalla crosta”.
L’energia termica presente all’interno della Terra ha un impatto fondamentale sulla vita. Gli scienziati non conoscono ancora con precisione la composizione chimica del mantello, ma sanno che è il luogo fisico dove avvengono i movimenti di materia - che nel mantello è viscosa - causati dal fatto che il calore è distribuito in modo disomogeneo. Questi movimenti, definiti moti convettivi, sono, ad esempio, responsabili dell’attività dei vulcani, degli spostamenti delle placche tettoniche e, di conseguenza, dei terremoti. Fenomeni che, nell’ambito della storia naturale del Pianeta, hanno più volte rimescolato le carte, permettendo alla vita di germogliare sulla Terra, fino a raggiungere l’enorme biodiversità attuale.
Enti di ricerca: presidenti e componenti dei Consigli di Amministrazione cercasi

DAL MESCOLAMENTO DEI QUARK UN LIMITE ALLA NUOVA FISICA
Il 27 luglio, a pochi giorni dalla pubblicazione delle misure sui pentaquark, l’esperimento LHCb, al Large Hadron Collider LHC del CERN, ha pubblicato su Nature Physics e ha presentato alla conferenza internazionale della European Physical Society (EPS) in corso a Vienna, i risultati di una nuova misura di elevata precisione effettuata sui decadimenti di barioni che contengono il quark b. Lo studio contribuisce a chiarire il quadro sperimentale per la possibilità di esistenza di nuova fisica nelle interazioni elettrodeboli.
Questo risultato è stato ottenuto studiando il decadimento della particella barionica chiamata Lambda b (Λb) che decade in un protone, un muone e un antineutrino muonico. A livello di quark, in questo processo un quark b della Λb si trasforma in un quark u dando origine a un protone, emettendo nel contempo un bosone W che decade in un muone e nel suo antineutrino. Questo tipo di misura viene detta “esclusiva”, perché considera solamente un preciso tipo di decadimento.
Il parametro misurato in questo articolo, chiamato Vub, descrive la probabilità di un quark b di trasformarsi in un quark u. Questo parametro fa parte della matrice di Cabibbo-Kobayashi-Maskawa (CKM), che descrive tutti i possibili mescolamenti tra i quark. Poiché il Modello Standard non è in grado di predire il valore assoluto dei parametri della matrice CKM ma, più semplicemente, relazioni di consistenza alle quali questi devono soddisfare, accurate misure sperimentali di vari processi, che coinvolgono le differenti tipologie di quark, sono di estrema importanza per comprendere se il meccanismo CKM sia l’effettiva chiave di interpretazione di tutti i fenomeni di mescolamento tra i quark nel mondo sub-microscopico. Qualora si riscontrasse un’inconsistenza tra i vari elementi della matrice, ciò rappresenterebbe un’indicazione dell’esistenza di nuova fisica oltre la teoria che oggi conosciamo.
Il risultato pubblicato da LHCb non è in accordo con le misure “inclusive” di questo parametro pubblicate in letteratura. In queste misure inclusive Vub viene ricavato studiando tutti i possibili decadimenti di mesoni B nei quali un quark b diventa un quark u, ma senza considerare uno stato finale in particolare. Il valore di Vub da misure inclusive non è compatibile, entro le incertezze sperimentali, con quanto previsto dal Modello Standard, e questo può essere interpretato con la necessità di correggere il Modello Standard introducendo nuova fisica.
Questa misura di Vub fatta da LHCb, in perfetto accordo con le misure esclusive precedentemente realizzate dallo stesso LHCb e dagli esperimenti BaBar e Belle, è invece perfettamente consistente con il Modello Standard così come lo conosciamo, contribuendo così a dissipare i dubbi sulla possibile esistenza di nuovi aspetti delle interazioni elettrodeboli.
La discordanza tra misure inclusive ed esclusive di Vub resta però al momento un problema aperto che continuerà a essere indagato nei prossimi anni, sia a livello sperimentale sia teorico.
Il risultato è il primo di questo tipo a essere stato ottenuto da un esperimento che utilizza collisioni tra adroni, come LHC, come anche il primo che si ottiene studiando il decadimento di un barione contenente un quark b. La precisione richiesta per questo tipo di misura è stata ottenuta grazie alle ottime prestazioni di LHCb e di LHC.
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